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TESTI
TALSETE DI MARSANTINO
Fu in un giorno d'autunno ancora acerbo e pieno di profumi che ricevette l'incarico...
Talsete di Marsantino
di Riccardo Regi
Fu in un giorno d’autunno ancora acerbo e pieno di profumi che ricevette l’incarico. Gli venne recapitato dentro una busta dal sapore antico in candida carta pergamenata. Dentro, semplicemente un verbo: raccogliere. Una missione evidentemente importante a dispetto della immediatezza del verbo. Questo, del resto, assumeva una sua precisa identità in relazione a Talsete. La sua fama era rimbalzata sino ai confini del tempo e della terra conosciuta in quell’Evo. Talsete di Marsantino: il più capace, tenace, illuminato archivista mai conosciuto. Qualcuno riteneva addirittura che non esistesse.
Che fosse uno dei miti dell’epoca. Di un’epoca che aveva necessità di inseguirli e, nel caso, di costruirli ad arte. E’ indubbio, peraltro, che la conoscenza può tutto: così si sarebbe potuto avvertire Talsete vicinissimo ai nostri sentimenti più intimi e veri, o immaginarlo immerso nei più meschini intrighi. Nessuno però, a dire il vero, lo riteneva avido di potere. Si sapeva piuttosto che era un abilissimo indagatore e che amava scoprire, entrare dentro le cose ma non per possederle quanto per conoscerle. Definire i contorni di Talsete di Marsantino, la sua fisionomia era impossibile. C’era chi diceva che avesse la barba lunga e bianca e chi, invece, sosteneva fosse giovane e glabro. C’era concordanza, questo sì, riguardo agli occhi: marroni al limite del corvino, discretamente indagatori ma penetranti. Disposti a comprendere. Proprio in quegli occhi, raccontava chi diceva di averlo incontrato, veniva individuata la chiave capace di aprire qualsiasi documento: lettere, manoscritti, appunti in codice, segni. Ora, questi occhi, leggevano e rileggevano senza sosta in quel giorno d’autunno, un semplicissimo verbo: raccogliere. A margine del foglio Talsete notò un’ulteriore trascrizione. Anch’essa brevissima.
"A quest'ultima opera basterà un tempo pari a 8 se a Nord sarà l'Ovest a Sud l'Est"
Un’iscrizione enigmatica e con un termine ultimo. Quindi, riflettè Talsete, l’opera alla quale era atteso avrebbe dovuto avere comunque una fine. Complessa, difficile, magari lontana nel tempo, comunque una fine. Questo pensiero gli concesse un sollievo inconscio. Nel frattempo però era chiamato ad agire: fu allora che i suoi scaffali, i suoi libri, i suoi disegni di vita iniziarono a girare vorticosamente attorno a lui. Nel vortice di parole, talvolta, incontrava lettere che lo rassicuravano e che per un momento sembravano poter fermare quel turbine altrimenti inarrestabile e che, di fatto, lo stava spingendo fuori.
Non si accorse nemmeno, per la fretta che ti prende quando l’ignoto ti preoccupa meno del certo, che aveva sceso le scale, calpestato la ghiaia, aperto il cancello. Fretta. Solo fretta. Una volta fuori non si chiese nemmeno se la luce incerta fosse quella dell’aurora o dell’imbrunire. Si stava chiedendo solo dove andare. Dove poter andare. Fu proprio quella fretta che lo aveva assalito a dargli la chiave: il tempo. Lo scorrere del tempo. E con esso, la paura atavica dell’uomo: il suo tempo destinato a finire.
Quella notte era una notte d’attesa. In gran parte del mondo. La notte nella quale l’uomo guarda per convenzione verso l’alto. Più che il momento, l’attimo che sembra decisivo e irripetibile della stella che cade, ciò che Talsete di Marsantino percepiva come motivazione universalmente riconosciuta, era piuttosto l’attesa. Il prepararsi all’evento. Il ricercare la condivisione con l’altro, un desiderio, nell’aspettativa più o meno certa che si esaudisse, che aveva un unico immenso scenario. Per tutti uguale: il cielo per san Lorenzo. Orientarsi verso la giusta direzione con le sconfinate conoscenze che in proposito Talsete aveva acquisito, non fu difficile.
Il monte gli si palesò proprio mentre l’aurora stava spegnendo le luci di quella lunga notte. Quando fu all’altezza della fessura profonda e stretta che tagliava in maniera naturale la roccia di granito posta a Est della montagna, fu un’eco ripetuta con una pausa sempre uguale a se stessa a spingerlo ad entrare.
LONG NOW CLOCK
STANZA - Omega
LATO - Epsilon
SCAFFALE - Sigma
CODICE CATALOGAZIONE - Mi
Qui aveva archiviato sotto la voce sfide tecnologiche il Long now clock. L’Orologio del lungo presente.
“Farà tic ma il tac arriverà solo l’anno successivo. Batterà un rintocco ogni secolo, mentre il cucù segnerà l’ingresso in un nuovo millennio e andrà avanti così per almeno 10mila anni”
Talsete di Marsantino aveva più volte letto di quel progetto, per di più basato su un ingegnoso sistema binario meccanico-digitale. Come dire: la più esasperata tecnologia e la più antica artigianalità. L’ingegno.
Ora c’era un luogo da raggiungere: la sommità di un monte al cui interno era scavata, o si doveva scavare ancora, la stanza per accogliere il Long now clock. Ovvero un totem di 20 metri, ricordava Talsete, d’altezza, con un quadrante planetario (orrey) e una sfera armillare di oltre due metri che vuole rappresentare il sistema solare. In una illustrazione Talsete aveva notato che l’astrolabio indicava l’anno secondo il calendario gregoriano, facilmente convertibile in tutti gli altri calendari al tempo noti; la posizione del Sole e l’ora del giorno; la posizione della Luna e le sue fasi; la posizione relativa ai sei pianeti visibili a occhio nudo. Ovviamente più degli elementi tecnici, a colpire Talsete era stata la motivazione alla base di questo progetto: “Per fortuna c’è sempre qualcuno che pianta le querce senza preoccuparsi di vivere abbastanza a lungo per raccogliere le ghiande”.
L’altro elemento che lo fece rimanere attonito fu la lentezza con la quale l’orologio procedeva. Più della sua maestosità.
Del resto, lì dentro, tutto era mastodontico, senza proporzioni usuali.
L’orrey gli ricordava però il viaggio, lo induceva alla ricerca.
Forse rimase stordito per un giorno intero, o per un attimo. Assurdo che non potesse averne l’esatta percezione pur trovandosi di fronte all’orologio più affascinante esistente al mondo. Quando da terra sollevò la testa e mise a fuoco la roccia su cui era riverso, balzò impaurito all’indietro alzandosi frettolosamente in piedi quasi a scongiurare che venisse assalito da quell’assurdo essere informe e spaventoso. Una volta compreso che nessun pericoloso mostro lo avrebbe annientato, si chinò a terra verso quella roccia che chissà per quanto tempo gli aveva fatto da letto. Quell’orrendo essere era di pietra. Meglio: era il calco fossile di un orrendo animale. Fu un attimo. Il rintocco del Long now clock e il cucù che salutava l’ingresso del nuovo millennio, si sommarono a un’immagine nitida.
HALLUCIGENIA
STANZA - Alfa
LATO - Epsilon
SCAFFALE - Sigma
CODICE CATALOGAZIONE - Mi
Talsete aveva avuto, chissà perché, un’inesplicabile attrazione verso quell’enigma impresso sulla pietra così pressante per ricercatori e studiosi. Fu, così, istintivo, quasi liberatorio poter raccogliere quel frammento di roccia che racchiudeva Hallucigenia perfettamente, pur nelle sue imperfette forme. Quando la strinse tra le mani gli sembrò di udire di nuovo quella rassicurante risata. Sentì la necessità di uscire. Teneva Hallucigenia in mano. La portò al petto. Iniziò a stringerla sempre più forte man mano che si rendeva conto che i punti cardinali non esistevano più davanti a lui.
Talsete mise i suoi piedi di fronte all’occhio di Long now clock, iniziò a distinguere suoni atavici, voci di un’evoluzione che ora, per l’incedere così lento ma inarrestabile dell’orologio, si palesava infinita, complessa, multiforme, straordinariamente affascinante seppure costretta nello spazio di un secondo. Quel suono, quelle voci di animali non erano tutte perfettamente distinguibili. Lo rassicurò una risata.
Un’eco diversa ma prepotente come quella che lo aveva indotto ad entrare nella grotta lo accompagnò all’uscita. Forse quella risata era un sogno, oppure un ricordo.
Vide per un attimo il bagliore ancora timido dell’aurora riflettersi su uno specchio d’acqua interrotto da stranissime e informi cattedrali di tufo che sprigionavano un intenso odore di pietra. Frugò nella sua mente e il flash gli consegnò un nome impossibile da dimenticare Et. Scorse subito dopo la spiaggia coperta da un sottile strato nero: le mosche - ricordò Talsete - che danno il nome a quel lago: Mono Lake. Hallucigenia sembrò vibrare, quasi in afflato col paesaggio e con quell’enigmatico batterio prova di un mondo parallelo invisibile brulicante di possibili altre vite. In possibili altri mondi.
"A quest'ultima opera basterà un tempo pari a 8 se a Nord sarà l'Ovest a Sud l'Est"
Fu allora che udì nitidamente un fischio. Il fischio dell’infanzia.
FEBO
Febo ha poco più di 14 anni. E’ un “mostro” d’informatica,
naturalmente....
ANNI TEMPORA
Luna che segue il
sole e poi ora regala un altro giorno. Sole che sale e cala giù, la
notte è già qui. Fiori, neve, grano, nebbie, si danno il cambio
silenziosi, le mani toccano stagioni che torneranno. Ti conterà tacendo
il tempo i passi che già stai seguendo. Ti confonderà toccando il cielo
confini che confonde il vento ore su ore e ancora ore. Storie su storie
lette da chi insegue nomi senza idee. Sfogli l’atlante e scopri che tu
non ci sei. Ti conterà tacendo il tempo amori che non torneranno. Ti
confonderà toccando il fondo il male che già stai sentendo, ore su ore e
ancora ora.
AMORIS ODORES
Voglio il vento,
soffia il nero che ho dentro in questi occhi di pioggia senza un velo di
luce. Sono sordo anche al pianto di un bimbo in questo giorno assemblato
da nani. Cerco soldi, presto, la dignità ma stavolta non faremo a metà.
Sono solo affacciato al balcone. E il vicino spinge forte sul cuore.
C’era un’onda di grano in quel libro bambino e papaveri rossi per
l’odore d’estate. Una bici da grande appoggiata sul fieno, un sospiro,
un tremore in quel pizzo di seta. La vertigine di un ruggito infinito.
Ci bastava così poco. C’era sale nel sale di quella minestra riscaldata
soltanto da un sorriso davvero gentile un tepore che sapeva d’eterno.
Prepotente, invadente come l’ombra di un Io sui peccati che ti manda il
buon Dio. Accarezzami.
MATER
Odore di un odore
che il vento conserverà. Occhi di occhi che la notte non chiuderà. Eco
di un’eco che la montagna non fermerà. Ansia di un’ansia che un
abbraccio cancellerà. E grida un grido il senso della vita e morde un
morso le labbra del sorriso e piange un pianto il respiro dell’addio. E
taglia un taglio la corda dell’amore e suda sudore la goccia del dolore
e sente un senso il senso del silenzio. Sangue di sangue che la vita
ravviverà. Vuoto di un vuoto che il ricordo non colmerà. Pensiero di un
pensiero che sempre ritornerà. Natura di una natura che il figlio non
piegherà. Amore di un amore che la ragione negherà. Certezza di una
certezza, lei ancora mi bacerà.
LAETITIA
Luce che acceca
il sole radice che va all’insù, foglia verde che cade e rimane
nell’aria. Sciarpa di sale che avvolge il mare, cuore che gonfia palloni
di sogni. E’ una strada in salita che gira su quattro ruote. Gioia.
Gioia. E’ una ruga che ruvida graffia il sorriso e va via, è un rumore
che ringhia e si arrampica su una melodia, è una lacrima livida che
lascia alla porta la nostalgia, è un lago di luci lontane che prendo con
la mano. Neve che cade su una spiaggia assolata, ricordo che non è mai
nato. E’ un giornale di notizie mai lette e tutte vere è amore sbiadito
che si colora domani, è amico che torna e non dice “scusa se...”, è una
penna che scrive un verso per la poesia. E’ una ruga che ruvida graffia
il sorriso e va via, è un rumore che ringhia e si arrampica su una
melodia, è una lacrima livida che lascia alla porta la nostalgia, è un
lago di luci lontane che prendo con la mano. Gioia. Gioia.
ANIMARUM MARE
I'm sitting here,
looking back on the past. I feel you so near, put your face behind glass.
Profondo è il mare delle anime, facile fede la fine non c'è. Ich frag
mich warum einer kommt, einer geht, wer wählt die Momente, wer wählt sie,
wer zählt. This is the song for the ones who have gone, it's hard to
believe and it's hard to go on.
SOLE
Filo giallo che
sorge e aggroviglia la terra, mistero chiaro da sempre, mostra le ombre
giù a valle. Fazzoletto che asciuga la goccia, ma non riscalda il
pianto, con te la zolla è madre di grano che ruberà una mano. Filo
rosso, che a sera si cuce addosso chi spera. Certezza in chi se ne va
per tornare domani. Carezza sul viso stanco di un padre in affanno. Con
te la mano ferita dal sale si scioglie fino a farsi toccare. Filo bianco
d’aurora che confonde l’alba. Orizzonte che mostri abbagliando a chi si
sente infinito. Gola in preda alla sete fin dal primo vagito. Con te
l’oasi vince il deserto che tornerà col vento. Filo grigio di nuvole
allacciato al cielo. Tepore vero d’autunno, che regala un mantello. Faro
al centro del tempo che illumina un palco. Con te la casa chiusa da
stanze sente lo stesso canto.
ALDER
Il mare musicò un
canto, Alder danzava con la stella marina
Introduzioni...
Il pescatore |
Vortice |
La grotta |
Pesce vela |
Quella notte, quando la luna si allungò sull'acqua, Alder si
sentì proprio solo e fu allora che la stella dai tanti specchi
riverberò i suoi sogni. Il remo prese a mordere l’acqua, il
bagliore diventò accecante. Il mare musicò un canto, l'Uomo
danzava con la Stella Marina. |
Tuonò la notte e il ritmo della danza aumentava e lui scendeva
giù, nei profondi fondali. E suonava. Qualcuno lo avrebbe
sentito. Qualcuno lo avrebbe capito. Si svegliò. Davanti a lui
un muro di pesci dagli occhi velati. |
Arrivò la paura. La grotta come casa, dentro il nero di buie
ombre mentre la sua lacrima affogava in quella dell'oceano.
Allora il velo svanì dagli occhi del pesce guardiano. Alder si
allungò verso l'uscita della grotta. |
Vide la grande pinna salire come freccia fino ad uscire
dall'acqua. Il pesce vela ricadde dopo il volo più alto sopra la
roccia che diventò di porpora. E ancora ci si gettò per
colorarla di più. Il branco formò un cerchio: “era vecchio, ha
voluto la morte”. Tutti guardarono le loro pinne per il volo più
alto. Alder vide la sua mano di porpora rossa. |
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Pesce Vetro |
Il Salmone |
Risalita |
Sul Ruscello Tanana |
Alder vide tra le Alghe tre pesci vetro, il più piccolo
indietro: nuotava con fatica e cercava, tra i colori filtrati
dall'acqua. Il piccolo, ora, avanti. Padre e madre lo guardavano
e lui ancora più avanti fino a raggiungere quelle strane ombre.
Belle. |
Mentre donzelle zingarelle si scambiavano amore e colori, un
fragore impaurì Alder. I salmoni. Risalivano la corrente veloci.
Il pescatore si avvicinò all'ultimo che serrava la fila. Li
chiamava la terra. |
Superarono l'Orso, e Alder con loro verso il ruscello Tanana,
dove l'acqua di fango. |
Era la scesa la notte e i loro occhi guardarono una stella. E
un'altra. Un’altra ancora. E Alder con loro. |
Testi...
IL PESCATORE
cielo dipinto di
nero grandi spazi in mezzo al cielo ramoscello di legno vecchio
sull'immenso mare musica dolce di onde che si infrangono violente sulla
sabbia vellutata su conchiglie addormentate e il vento dolcemente
trascina con sé profumi intensi di paesi lontani attraversi le stesse
sponde e mille bagliori per l'ennesima volta sulla stessa rotta ma come
tutte le sere davanti a te nasce la stella marina specchio dei tuoi
sogni più belli e la sua corrente é troppo violenta per un pescatore
stanco di guidare la sua barca. E incomincia la danza del mare la tua
testa comincia a girare mille suoni ti portano in alto mentre il vortice
ingoia il tuo corpo
LA GROTTA
L'uomo é nella grotta là dove il nero uccide il blu pesci dagli occhi
velatitutti uguali e dalle mille forme incurvato dall'acqua ora é fermo
un'alga accarezza il suo corpo nella grotta che ora riconosce il viso
bagnato dalla lacrima dell'oceano i suoi occhi vedono più in là e lascia
la grotta blu.
IL PESCATORE
soffio che
attraversa il blu nato nel suo mare per toccare il cielo freccia forte e
antica dalla grande vela che si gonfia al vento e si lancia in alto
lunghi voli ma sempre troppo brevi vecchio arco stanco di flettersi c'è
uno scoglio proprio in fondo al blu nato in questo mare per chiamarti
giù la tua pinna corre verso quella roccia l'acqua resta muta sotto la
tua forza lunghi voli ma sempre troppo brevi pesce vela stanco di
ricadere e lo scoglio scintilla luce é lo scoglio acuta voce fisse in
cerchio proprio intorno a te pinne amiche per la tua ballata freccia che
si spezza contro il vecchio sogno la tua voce grida "l'ho spezzata io"
nuovi voli ma sempre troppo brevi pesce vela stanco di ricadere ed il
branco di nuovo vola e la vela ancora vibra.
PESCI VETRO
Un'onda
lieve spinge tra le alghe colori caldi come di una grande giostra tre
pesci vetro ed il piccolo chiuso dietro un giro un altro e un un altro
ancora il gioco di sempre il piccolo rimane indietro luci senza tempo
che sbiadiscono sempre più un colpo di coda e il piccolo é avanti padre
e madre spiano la sua scia ma nuove luci affannano il piccolo vetro.
I SALMONI
Sento che sto arrivando verso la fine di questo sogno rispecchiano i
miei occhi limpide storie di questo mondo l'acqua cambia il suo colore
riflette i rami di quel bosco sento che la natura é sopra di me con il
suo profumo ecco ora tutto é fermo dei salmoni in viaggio é passata
l'eco seguendo il loro segreto sento le tue parole vecchio salmone nella
mia mente no non si può fermare l'armonia del vento quando sfiora il
mare e anche questa volta l'orso sarà lì ad aspettare.
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